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motivAzione | Cambiare: quanto conta l'atteggiamento dell'operatore?

Dietista Vanessa Marrone 27/01/2014 0

"Ne ho girati tanti e ne ho fatte tante, le diete sono tutte uguali ... ", ha esordito così due giorni fa durante il nostro primo incontro una signora che vuole dimagrire. Lì per lì sono rimasta sbalordita ma del resto, pensandoci su, non potevo darle torto. La signora ha seguito in passato diete scarsamente personalizzate, cosa che le ha dato l'impressione che fossero tutte uguali. A parte il fatto che di modelli alimentari ce ne sono di tanti tipi, ciò che condiziona maggiormente le possibilità di riuscita è il "fattore professionista".

Come si riesce a cambiare? Per cambiare è necessario che si crei un'alchimia, un po' come avviene per le congiunzioni astrali, tra l'operatore e il paziente.

Il fattore paziente
Metti il caso che ti sia rivolto ad un professionista nel 2010 e non sia riuscito a cambiare; tornandoci nel 2012, invece, hai raggiunto gli obiettivi. Il professionista era lo stesso, il metodo e la dieta probabilmente anche. Allora cosa c'era di diverso? Qualcosa è cambiato in te: nel 2012 eri finalmente pronto.

Il fattore operatore
"Le diete sono tutte uguali", ma i professionisti sono tutti uguali? Io credo di no. Ognuno ha il suo metodo di lavoro che è il risultato delle competenze tecniche e delle abilità relazionali. Le competenze tecniche ci permettono di elaborare un programma e se questo tiene conto sia dei tuoi fabbisogni nutritivi sia dei tuoi gusti, non farai fatica a raggiungere la meta. Ma soprattutto ogni operatore ha il suo personale modo di approcciarsi al paziente. Una solida alleanza terapeutica con l'operatore può motivarti per condurti fino al traguardo.

Parlando sempre del "fattore operatore" ritengo importante l'ottimismo per il cambiamento, il credere che le possibilità di riuscita siano buone. A tal proposito riporto un brano tratto da un testo che ho letto qualche mese fa e che mi è tornato in mente mentre pensavo di scrivere questo articolo. 

"Uno degli autori di questo libro aveva ricevuto da un grande ospedale di Londra l'incarico di aiutare i cappellani e le altre figure religiose attive nella struttura che avevano riportato di soffrire di uno stato di esaurimento. Durante i colloqui tutti concordarono di sentirsi esausti e debilitati per via della propria percepita incapacità di aiutare i molti pazienti incontrati affetti da problematiche croniche e dolorose. Seguendo la nostra usuale procedura, l'intervento ebbe inizio con un periodo di osservazione. Notammo le seguenti cose: i pazienti apparivano spesso piuttosto rilassati e di buon umore; chiacchieravano, leggevano e guardavano la televisione. Quando si presentava il religioso, andava a sedersi vicino al paziente con un'espressione seria e preoccupata, per poi chinarsi verso il paziente e aprire con frasi come: "Dunque come si sente oggi?". 
Le parole gravi e il linguaggio non verbale dei religiosi segnalavano chiaramente l'aspettativa che il paziente rispondesse riportando cose negative - il che non mancava di accadere. Il paziente si accasciava visibilmente, l'espressione raccolta e riflessiva, e rispondeva poi con una variante sul tema di "Non molto bene oggi...". Sia il paziente che il religioso sembravano comportarsi secondo un "copione". All'osservatore esterno era chiaro che il religioso era stato ancorato alla percezione delle sofferenze del paziente, mentre il paziente a sua volta fungeva da ancora per il comportamento eccessivamente serio e preoccupato del religioso.
I religiosi furono presi da parte e furono spiegati loro i principi dell'ancoraggio, invitandoli poi a farne pratica (cosa che fecero con una certa riluttanza iniziale) adottando un atteggiamento di maggiore allegria e di aspettativa positiva
Dopo alcuni giorni il tono degli incontri con i pazienti era cambiato notevolmente. I religiosi erano diventati più umani; scherzavano e ridevano coi pazienti, che a loro volta rispondevano con visibile piacere al presentarsi dei religiosi. In seguito i religiosi riportarono di sentirsi più rilassati, energici e carichi di ottimismo riguardo al proprio lavoro." (PNL per i medici, Thomson, Khan, ed. Alessio Roberti, 2009)

Con questo voglio dire che laddove incontri aspettative positive e ottimismo, è più facile muoverti in direzione degli obiettivi. Solo se sia tu che il professionista credete nella possibilità che tu riesca a cambiare è possibile creare una sinergia speciale per trovare la soluzione ad eventuali criticità.

"Tu pensi che ce la farò?"
"Alcuni elementi emersi dal nostro colloquio mi fanno pensare che hai buone possibilità di farcela".

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